Una tradizione orafa e argentiera che, per generazioni, ha fatto di una abilità nel modellare l’oro e l’argento, un’arte.
Il nome Barraja, sia in arabo sia in ebraico (baraka), significa benedizione divina.
Provenivano dal Nord della Spagna, precisamente da Vizcaya regione Basca sul golfo di Biscaglia nel XIV secolo.
Dalla Spagna si spostarono presumibilmente tra il 1350 e il 1400, alcuni in Francia a Nizza, alcuni a Torino e altri nell’Alto Lago di Como. Un Andrea Barraja fu nominato Capo della comunità della terra esistente nell’Alto Lago di Como. Da qui, a causa delle precarie condizioni economiche, nel 1520 alcuni componenti del gruppo familiare Barraja si spostarono in Sicilia, a Palermo che viveva un periodo prospero e di rinascita che tanto poteva offrire a mercanti e artisti manifatturieri.
Sono già abili e stimati gioiellieri, orafi e argentieri attivi a Palermo dal 1710. La loro attività e la continuità nello stesso lavoro li pone secondi in ordine di tempo tra i più antichi orafi del mondo, dopo i Mellerio, gioiellieri trasferitisi a Parigi nel 1613 dalla Lombardia.
Un Giovanni Barraja, tra il 1743 e il 1749, fu incaricato dalla Maestranza degli orafi e argentieri di verificare la “bontà” degli oggetti d’argento eseguiti a Palermo. Questa carica di fiducia e prestigio, data dal Console della Maestranza per sette anni consecutivi e non due come era uso, è segno di come la famiglia Barraja fosse depositaria della stima del Console e dei maestri della stessa arte.
Andrea e Giovanni figurano ancora nel 1763 in un manoscritto esistente presso la Biblioteca Comunale di Palermo. Un figlio di Giovanni, Gaetano nato nel 1775, continuò la tradizione con una bottega in via S. Eligio, e nel 1799 sposò Rosalia Salamone Nicchi, figlia dell’abile argentiere Michele Salamone e imparentata con l’argentiere Antonino Nicchi da parte di madre, secondo la consuetudine di privilegiare matrimoni tra i familiari dei membri della stessa maestranza.
Antonino Nicchi, nel 1774, aveva eseguito un ostensorio in argento con smalti e rubini per la cattedrale di Palermo. Il suocero Michele Salamone aveva la bottega in via Argenteria 23, dove andò a lavorare Gaetano. La via Argenteria era allora la strada di tutti i gioiellieri.
Gaetano ebbe tre figli: Giuseppe, Michele e Francesco tutti e tre argentieri e orafi, questi ultimi due senza eredi mentre Giuseppe continuò l’attività spostandosi però in corso Vittorio Emanuele 134, che era divenuta la nuova strada dei gioiellieri. Nel 1862 fu arrestato, condotto nella caserma dei carabinieri e interrogato poiché negli anelli che creava incideva il motto di Garibaldi “Roma o morte”, per l’annessione di Roma al Regno d’Italia.
Giuseppe morì nel 1882 e i suoi figli continuarono l’attività intitolandola “Fratelli Barraja”, sempre in corso Vittorio Emanuele 134. È il momento in cui vengono offerti alla clientela più esigente raffinati monili in corallo, in concomitanza con i ritrovamenti dei banchi corallini di Sciacca.
Salvatore Ernesto e Giuseppe, figli di Francesco e nipoti di Giuseppe, continuarono la tradizione orafa argentiera. Salvatore avviò l’attività in corso Vittorio Emanuele 130 probabilmente nel 1905 a 23 anni, e nel 1908 in via Maqueda 221, la nuova strada del lusso.
Qui, di fronte, nel palazzo Rudinì abitava la sua amata Margherita, che dopo un assiduo corteggiamento riuscì a sposare, nel 1911, e a cui dedicò diversi gioielli ispirati al suo nome come la spilla rotonda in brillanti e platino dove una margherita di brillanti si posa su delle bacchettine che formano il nome Salvatore.
Nel 1914 gli fu concesso il significativo Brevetto della Real Casa Savoia come fornitore di S.M. Vittorio Emanuele III. Nel suo negozio è presente una raffinata produzione di gioielli tipica degli anni 1920-25 in platino, onice e brillanti con influenze di gusto francese, secondo la moda dei tempi.
Le sue frequentazioni con Parigi gli permisero di fare giungere a Palermo, in largo anticipo, le novità sulla moda del gioiello. Egli stesso realizzerà dei disegni, prima ispirati alla gioielleria Liberty, con il suo gusto floreale, e poi a quelli Art Déco con la loro schematicità lineare, dando un‘idea della versatilità artistica dell’orafo, erede di una prestigiosa tradizione. È presente a Monza, dal 1925 al 1930, all’Esposizione d’Arte decorativa e a Venezia, nel 1930, alla XVII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte.
Nel 1958, con il figlio Mario sempre pronto a recepire i cambiamenti della città, aprì una nuova sede in via Ruggero Settimo 26, su progetto dell’architetto Melchiorre Bega. In questo nuovo negozio Salvatore e Mario rafforzarono il settore delle pietre preziose trattando brillanti, smeraldi zaffiri e rubini e perle vere sempre di ottima qualità, grazie alle vaste conoscenze internazionali e alle visite continue ai centri di smistamento come Anversa, Parigi, Londra e di produzione come Valenza Po, Milano, Vicenza, Firenze.
La gioielleria Barraja ha esposto i propri prodotti nelle fiere di settore negli Emirati Arabi Uniti a Sharjah nel 2002, Abu Dhabi 2003, 2004, 2005 (Adijex), e a Beirut nel 2004 ad Hong Kong nel 2012, 2013 e 2014 e Las Vegas nel 2014.
Oggi, Silvano e Carlo continuano l’attività con la stessa passione e nel rispetto di una tradizione orafa e argentiera che, per generazioni, ha fatto di una abilità nel modellare l’oro e l’argento, un’arte. Applicano la massima cura nel garantire la clientela negli acquisti di gioielleria, di argenti antichi e moderni, nel servizio post-vendita e nel restauro di oggetti antichi.
Sono sempre attenti ai cambiamenti del gusto e delle mode e con la loro propria esclusiva produzione assicurano, alla sempre più vasta clientela, gioielli e argenteria di sicura affermazione nel tempo.